La Corte dei conti lancia l’allarme sul debito pubblico. Secondo il neo presidente Angelo Buscema, “il quadro attuale della finanza pubblica ci indica come non più praticabile il percorso che, per assicurare i necessari livelli di servizi alla collettività, faccia ricorso a un’ulteriore crescita del debito pubblico. È una via, preclusa non tanto dagli obblighi che ci provengono dall’esterno, dagli accordi europei, quanto piuttosto dal rispetto di un maggior equilibrio intergenerazionale nella ripartizione degli oneri”. Inoltre, ha aggiunto l’alto magistrato: “Sebbene ci sia stata una progressiva inversione di tendenza nel processo di riequilibrio dei conti pubblici, questa è avvenuta anche grazie al congelamento della dinamica dei redditi del pubblico impiego e con una compressione della spesa per investimenti talmente forte da creare preoccupazione per lo stesso mantenimento del capitale fisso a disposizione del sistema”. Le preoccupazioni della Corte sono confermate, peraltro, dai nuovi maxi schermi posti nelle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina, ideati dall’Istituto Bruno Leoni, che indicano l’evoluzione in tempo reale del debito nazionale. La crescita è continua e impressionante. Il contatore non si ferma mai. Segnava 2.281 miliardi, ben 6 in più della rilevazione effettuata da Bankitalia (i dati utilizzati per il calcolo sono proprio quelli di Via Nazionale) per lo scorso novembre. Invece, nel 2016 era a 2.217 miliardi e nel 2013 a 2.070, addirittura 211 miliardi in meno rispetto a oggi. Ma non vigeva il fiscal compact, che dal 2013 impone a ogni Paese con un debito eccessivo di ridurlo ogni anno di una quota pari a un ventesimo della parte eccedente il 60% del pil? L’ Italia ha semplicemente ignorato l’obbligo. Il debito è salito dal 123,4% del pil del 2012 al 129% del 2013, poi è passato al 131,8% nel 2014. Un leggero calo nel 2015, al 131,5%, e subito di nuovo su al 132% nel 2016. Per lo scorso anno il Def prevede una flessione al 131,6%. Ma non mancano i dubbi che si riesca a raggiungere l’obiettivo. Ne dubita in primis la Commissione di Bruxelles, che stima un debito per il 2017 in ulteriore crescita al 132,1%. Dunque, grava sul prossimo esecutivo che uscirà (o non uscirà?) dalle elezioni una notevole patata bollente. Ne è convinto anche l’Ufficio parlamentare di bilancio che, nel focus “Situazione e prospettive della finanza pubblica”, descrive nel dettaglio le criticità da affrontare. “L’attenzione torna a focalizzarsi sui fattori di maggior vulnerabilità che affliggono l’ Italia, in particolare l’ elevato livello del debito (132% in rapporto al Pil nel 2016 a fronte di una media dell’area euro dell’ 81,4%) e la necessità di ridurlo – sottolinea il rapporto e aggiunge – Secondo il Documento programmatico di bilancio 2018, infatti, la riduzione cumulata del debito rispetto al Pil nel periodo 2018-2020 (123,9% del pil ipotizzato a fine periodo) fa leva, oltreché su un quadro macroeconomico favorevole, su rilevanti avanzi primari di bilancio, che nel 2019-2020 sono resi possibili soprattutto dall’ aumento di Iva e accise previsto dalle clausole di salvaguardia”. Dunque, una pesante stangata fiscale sarà molto probabile. Eventualità smentita al momento dal Mef: “Nessuna manovra aggiuntiva, gli obiettivi di bilancio verranno centrati”.