Ungheria e Slovenia chiedevano di bocciare la ripartizione dei richiedenti asilo sbarcati in Italia e in Grecia: la Corte di giustizia europea rigetta i loro ricorsi, approva i ricollocamenti, e rigetta le posizioni del gruppo Visegrad contrario a qualsiasi forma di solidarietà sui migranti. Forte il valore politico di questa sentenza: visto che – scaduto il Programma di emergenza (e il suo meccanismo temporaneo) avviato 2 anni fa da Bruxelles – ora si attende la riforma del sistema di Dublino (bloccata dalle capitali dell’est) nel cui contesto la Commissione europea ha proposto un sistema permanente di redistribuzione da far scattare quando le capacità di accoglienza di un Paese sono sotto stress. La sentenza rende obbligatorio il Programma di ricollocamento, anche se non approvato all’unanimità; e può anche rilanciare la riforma del Trattato di Dublino (che assegna i rifugiati al primo paese di arrivo, penalizzando Italia e Grecia).
Finora, dei paesi dell’Est, solo la Slovenia ha annunciato che si conformerà alla sentenza, pur contestandola. Il cosiddetto “quartetto di Visegrad” (i due governi più autocratici ed euroscettici del continente, Ungheria e Polonia, più Repubblica ceca e Slovacchia) – pure dinanzi alla minaccia di un taglio dei finanziamenti UE – si è mostrato unito nella richiesta di alzare muri anti-profughi, e nel rifiuto di un ricollocamento dei rifugiati. Ora, il governo ungherese di Orban ha definito la sentenza “irresponsabile, pericolosa e inaccettabile”. “Siamo un partner leale – ha precisato la Polonia di Szydlo – ma questa sentenza non cambia la posizione del governo”. Intanto, si rafforzano segnali di riavvicinamento a Parigi e Berlino, da parte dei cechi e degli slovacchi.
Da parte sua, preso atto delle prime dichiarazioni negative provenienti soprattutto da Budapest e Varsavia, il Commissario Ue per l’immigrazione, il greco Dimitris Avramopoulos ha anticipato che – in caso di mantenimento del rifiuto di accogliere i rifugiati – le procedure d’infrazione, dalla Commissione europea aperte nel giugno scorso contro Ungheria Polonia e Repubblica ceca andranno avanti, passando alla Corte europea di giustizia di Lussemburgo per decidere sanzioni contro i governi di Budapest, Varsavia e Praga.
Il dossier riforma del sistema di Dublino diventerà ancor più caldo quando sarà ripreso, a piene mani, e cioè dopo le elezioni tedesche del prossimo 24 settembre. Entro fine anno, la Commissione europea ha detto che presenterà una sua proposta tecnica di riforma, anche alla luce delle esigenze imposte dalla lotta al terrorismo. Intanto, in Spagna, Barcellona ha proclamato un Referendum sull’indipendenza della Catalogna per il prossimo primo ottobre. Mai più di oggi – per ovvi motivi – si è a un passo dalla rottura tra Ue e Turchia. E – nel quadro della Brexit – un documento segreto pubblicato dal “Guardian” rivela il Piano di Londra per bloccare la libera circolazione degli europei, ridurre gli ingressi, l’intenzione d’introdurre di un sistema di visti (con impronte digitali e passaporto) per i lavoratori Ue – favorevole solo a lavoratori stranieri altamente qualificati – che prevede limitazioni anche per gli studenti.