Questa settimana è scomparso Valentino Zeichen, una delle maggiori voci poetiche dell’Italia contemporanea, nato a Fiume nel 1938 e poi giunto a Roma con la famiglia di profughi nel 1950. Nel suo canzoniere si incrociano uno spirito giocoso, irriverente, da funambolo della lingua e una malinconia più grave, il senso angoscioso e barocco del tempo che passa. Alla capitale – che gli “sembra il parto d’un dubbio incrocio / o d’uno sbadato enigmista” – ha dedicato molte poesie, qui ne riproponiamo due (tratte da Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, Fazi, Roma 2000) come omaggio alla sua memoria.
Il Colosseo
La sua mole accresce
la meraviglia dei turisti
e ne fa dei binocoli visionari.
La pianta circolare allude
a un acquedotto sperimentale,
per curvare il tempo lineare.
Gli zeri di tempo ossificato:
bimillenari noccioli d’olive
ritrovati nelle sue fogne
seducono molti seguaci
della cultura materiale.
Per pudore o scarsità cognitiva
non si azzarda la domanda:
chi ha spogliato il Colosseo?
I grandi architetti del Cinquecento
l’hanno reso cava di marmo
per rivestire il Rinascimento.
Gianicolo
Dalla terrazza del Pincio,
nel cannocchiale accecato
si annebbia la sagoma
di Garibaldi a cavallo
che dal colle del Gianicolo
dirige il tiro sui nemici
della Repubblica Romana.
Nel mezzogiorno di fuoco
spara sull’ora il cannone
addomesticato ad orologio.
Al condottiero moderno che
ha scelto per strategia
la “guerra di movimento”,
è congeniale sparire e
riapparire al contempo
nei monumenti equestri
delle piazze d’Italia.