America Centrale e Latina in fiamme. Il continente è scosso da numerosi conflitti, irretito nelle trame vischiose delle mafie e delle gang criminali, intossicato dalla corruzione cronica delle classi dirigenti, assillato dalla crisi economica. In talune realtà lo scontro sociale è talmente acuto che si teme la guerra civile conclamata come in Venezuela e in Brasile. In questi giorni, ad esempio, proprio in Brasile il Governo ha ordinato ai militari di proteggere i palazzi del potere dopo che, ieri, migliaia di persone sono scese in piazza contro il presidente Michel Temer – coinvolto in un’indagine per corruzione – contro la sua proposta di riforma del mercato del lavoro. Innescato anche un principio di incendio al Ministero dell’agricoltura. Pertanto, saranno dispiegati nelle strade di Brasilia 1.300 soldati e 200 marines. I rivoltosi scesi in piazza, circa 35mila persone, hanno cercato di dare alle fiamme altri due palazzi e infranto vetri nell’Esplanadas dos Ministerios. Nelle proteste sono rimaste ferite una trentina di persone. La rabbia sociale è esplosa perché la proposta di riforma del lavoro prevede l’aumento delle ore e la riduzione dei poteri dei sindacati.
Spostandoci più a Nord, incontriamo la situazione drammatica del Venezuela, laddove Caracas ha conquistato la palma di città più violenta del mondo e dal mese di aprile le piazze sono invase da manifestazioni di protesta che degenerano in scontri violenti. La polizia spara e uccide, i manifestanti rispondono con sassi e molotov. Non a caso altri due giovani sono morti ammazzati durante proteste antigovernative. Uno a Maracaibo e l’altro a Ciudad Bolivar, ambedue raggiunti da colpi di arma da fuoco.
A Ciudad Bolivar, capitale dello stato di Bolivar, nel sudest del Venezuela, il deputato oppositore José Manuel Olivares ha informato dell’uccisione di Augusto Pugas, 22 anni, studente di infermeria, raggiunto da un proiettile alla testa. La stampa ha informato inoltre dell’uccisione di Adrian José Duque Bravo, 24 anni, colpito da una pallottola al ventre mentre partecipava a una manifestazione nella zona di Torres del Saladillo a Maracaibo, la seconda città più importante del Venezuela e capitale dello stato Zulia, nel nordest del Paese. Si aggrava il bilancio delle vittime: 63 morti da inizio aprile. Sempre nello stesso mese, torbidi sono scoppiati anche in Paraguay quando le forze di opposizione hanno attaccato il palazzo del congresso appiccando un incendio al primo piano, quello che ospita la sala bicamerale del Parlamento e gli uffici di vari deputati. I danni sono stati ingenti e i feriti almeno 70 (18 dei quali giornalisti), fra i quali almeno tre senatori. La scintilla che ha innescato gli scontri è stata la riforma della Costituzione che ha permesso al presidente in carica, Horacio Cartes, di poter essere rieletto nel 2018. Ad aggravare la situazione si è aggiunta poi l’uccisione del 25enne Rodrigo Quintana, abbattuto dalle forze di sicurezza ad Asuncion, nel corso delle proteste.
Se poi lo sguardo raggiunge il Messico, si raggela letteralmente di fronte alla ferocia dei cartelli della droga in guerra fra loro e con le istituzioni federali, statali e locali, che spesso parteggiano per l’una o per l’altra organizzazione. E la società civile (si fa per dire), i corpi intermedi, soffrono e soccombono presi tra mille fuochi. Di recente è stato ucciso l’ennesimo giornalista che indagava sul narcotraffico, Javier Valdez Cardenas. E’ caduto sotto i colpi dei killer del cartello di Sinaloa, a Culiacan.
Purtroppo, dobbiamo prendere atto che l’America Latina è soltanto una delle tessere del caos dilagante in tutto il globo, a Est come a Ovest, a Nord, ma soprattutto a Sud.