La storia del nostro paese è stratificata, frammentaria, fatta di dominazioni, conquiste, saccheggi, divisioni interne – siamo stati una superpotenza solo con l’antica Roma e poi con le repubbliche marinare -, ma anche perciò formata da lingue, culture, idiomi diversi.
Non è una identità granitica o monocorde. Spesso nei dialetti italiani ritroviamo i segni di altre lingue, la testimonianza di un periodo storico e di una dominazione straniera. Prendiamo il napoletano: innumerevoli gli scambi, i prestiti linguistici con la Spagna e le parole che hanno una evidente origine spagnola: “abbascio” per “giù”, “acciaccato”, “abbusca’’” per guadagnare, procacciarsi,” e in genere “tenere” per “avere”.
Anche questo si è ricordato nell’incontro svoltosi a Napoli venerdì 17, al Circolo Savoia, per il premio internazionale legato alla rivista”Quaderni ibero-americani”, che da settant’anni, dall’estate del 1946, intende meritoriamente approfondire il legame tra cultura italiana e cultura spagnola (vi collaborarono molti Nobel e scrittori di grande rilievo – Neruda, Jimenez, Alexaindre, Cela, Gabriela Mistral, Alonso – oltre a Benedetto Croce).
Quest’anno il premio è andato alla scrittrice e poetessa Luisa Castro, direttrice dell’Istituto Cervantes a Napoli, e l’anniversario della rivista ha coinciso con l’anniversario del regno di Carlo di Borbone – trecento anni – , il cosiddetto re “progressista”, che in un momento di grave crisi per la città seppe operare importanti riforme, costruire case, strade, chiese e ospedali. Gli scrittori spagnoli convenuti per la premiazione, che si impegnano a scrivere articoli e reportage su Napoli, hanno detto di trovarsi a casa nella città partenopea, a contatto con le abitudini quotidiane e la cultura di strada della popolazione.
Le radici – culturali e linguistiche – dell’Italia sono meticce e appaiono refrattarie a qualsiasi logica identitaria troppo rigida.