“La ripresa è moderata, ma la Bce è pronta a intervenire a marzo”, ha detto il presidente della Banca centrale europea durante l’atteso intervento davanti al Comitato affari economici e monetari del Parlamento europeo di pochi giorni fa. Poi ha aggiunto: “Diventa sempre più chiaro che le politiche di bilancio debbano sostenere la ripresa attraverso investimenti pubblici e tassazione bassa”. In altri termini serve una politica economica dell’Unione per far ripartire la domanda. Ormai diventa sempre più evidente che il Qe di Mario Draghi ha necessariamente dei limiti poiché agisce prevalentemente sul lato dell’offerta, immettendo una grande quantità di liquidità nel sistema che, però, rischia di non essere pienamente assorbita poiché non ci sono politiche economiche adeguate per rilanciare la crescita che, a sua volta, incrementerebbe ulteriormente la domanda. Solo in quel caso si potrà parlare di vera uscita dalla crisi, iniziata nel 2008 con il fallimento della Lehman Brothers. Il piano Juncker non appare la risposta adeguata a una crisi così profonda e così grave che sta stravolgendo il mondo molto più di quanto abbia fatto la caduta del muro di Berlino nell’89. Ora è proprio l’Occidente a essere messo in discussione attraverso violente crisi finanziarie che mettono in crisi i bilanci di interi paesi. Finora, del piano del presidente della Commissione, solo 50 miliardi di euro sono stati mobilitati in otto mesi sui 315 previsti in tre anni, con soli 42 progetti in 15 paesi e 67 programmi di finanziamento per le imprese, tra cui l’ultimo da 1 miliardo firmato da Cdp e Sace, per un totale di 9 operazioni in Italia. Nove anche i paesi Ue tra cui l’Italia coinvolti tramite le loro banche d’investimento per oltre 42 miliardi di fondi ulteriori, e trattative in corso con la Cina. Non è possibile che questa sia la risposta alla più grave crisi economica e sociale dopo il ’29. Lo stesso ministro dell’economia Pier Carlo Padoan a inizio dicembre, aveva definito il piano : ” lodevole, ma sta andando avanti vivacchiando”.
La normalizzazione economica e finanziaria ancora non è avvenuta. Basterebbe pensare che non è mai accaduto, dopo la guerra, che l’Occidente ed il Giappone rimanessero per così tanto tempo con tassi d’interesse intorno allo zero. Senza pensare alla straordinarietà dei Qe, prima americano e poi europeo. La crisi iniziata nel 2008, ancora non è pienamente superata. Nell’epoca del villaggio globale, in cui le esportazioni sono una parte consistente del pil di tutti i paesi, le parole di Draghi ci fanno pensare che anche i paesi che sembrano essere usciti dalla crisi, USA e Germania, corrono il rischio di ripiombarvi. La crescita mondiale sta rallentando e, quindi, il rischio è quello che le politiche monetarie dimostrino la loro insufficienza se non accompagnate da una politica economica espansiva la più globale possibile, almeno a livello europeo. Il rischio, per noi europei, è quello di vedere una ripresa che si strozza o rallenta, facendo fallire le previsioni di bilancio, pubbliche e private, comprese quelle degli enti locali, in un contesto in cui i dubbi sull’efficacia delle politiche monetarie aumentano. E’ vero che Draghi ha annunciato altre misure per far riprendere l’inflazione, e quindi la domanda, ma se queste misure non bastassero? Ricordiamoci che lo stesso Draghi, in passato, ha accennato a “territori inesplorati”.