Dopo Brexit, i capofila di chi vuole meno Europa (dotati di poca familiarità con l’equilibrio tra lealtà atlantica e appartenenza all’Ue) sono i Paesi dell’Est spesso accusati (non a torto) di scarsa solidarietà europea, e di poca riconoscenza per l’enorme sforzo finanziario dall’UE fatto a loro favore. In Austria (dopo la vittoria del verde Van der Bellen) c’è sete di rivincita da parte dei populisti. E c’è anche chi parla di Swexit, Grexit e, in caso di vittoria di Marine Le Pen alle prossime elezioni francesi, di Francexit. Ma attenzione! Con l’affermarsi di economie emergenti e di nuovi protagonisti, il mondo cambia, ma continua a essere caratterizzato da interdipendenza. E ci sono sfide minacce e problemi (quali crisi multiple, immigrazione e crisi dei rifugiati, cause del terrorismo e dei molteplici conflitti in essere, lotta ai cambiamenti climatici,dumping sociale salariale fiscale ambientale, spread che si ampliano, politiche di Trump, problemi di crescita e sviluppo ecc. ) che nessuno Stato può veramente risolvere da solo. In un contesto di crisi multiple (e di virulento anti-europeismo nazional-populista ) serve quindi più Europa, e non meno Europa.
La politica dei piccoli passi non basta più. Non a caso, la stessa Merkel – posto all’ordine del giorno il futuro dell’Europa – si è detta disponibile a rafforzare l’integrazione dei Paesi disponibili. Ed è aperta al rilancio di un’Europa a doppia velocità (pur senza “club esclusivi”) come strada per non perdere altri partner dopo il Regno Unito. Ma c’è da mettersi d’accordo su cosa significa “Europa a due velocità”. Significa traino o frattura? Significa creazione di due assi – l’asse-Nord Europa (dei paesi virtuosi) e l’asse-Sud Europa (per i paesi spendaccioni e indisciplinati) – o piuttosto rifondazione dell’Unione europea a partire dai suoi stati più anziati? Ripartire dai sei Paesi fondatori della CEE, o piuttosto dai 19 dell’eurozona? Questi ed altri i quesiti sul tappeto. Come ho già scritto sulle pagine di questo giornale (http://www.gdc.ancitel.it/20386-2/) mi auguro si possa giungere, l più presto, alla creazione di una vera Unione europea – economica monetaria sociale – e politica.
L’Europa a più velocità già esiste, ad esempio, per euro, e Trattato di Schenghen. E’ un metodo. Trattandosi di un metodo, per la definizione dei suoi contenuti bisognerà aspettare gli esiti delle elezioni politiche in Francia e in Germania. Ad oggi, c’è chi è più pronto a mettere in comune la difesa e/o lo spazio unico di sicurezza e chi l’Europa sociale. Intanto, una cosa è. L’Europa delle nazioni promossa dai nazional-populismi non è la risoluzione di problemi che nessuno Stato può oramai risolvere da solo.
Sì’ quindi a più Europa, e non a meno Europa. Il 16 febbraio 2017, per fare in modo che l’UE possa far fronte alle grandi sfide future, migliorare la sua capacità d’azione e restaurare la fiducia dei cittadini nelle sue istituzioni Ue, anche il Parlamento europeo ha chiarito possibili scenari per il futuro della Ue, approvando tre Risoluzioni:
I. – La prima – redatta dal popolare tedesco Elmar Brok e dalla Pd Mercedes Bresso (approvato per 329 sì, 223 no ed 83 astensioni) – si concentra su come sfruttare appieno il Trattato di Lisbona proponendo di: passare in pianta stabile al voto a maggioranza (al fine di evitare il blocco di importanti progetti legislativi e accelerare il processo legislativo); che i Consigli dei ministri diventino una seconda camera legislativa (e le sue configurazioni organi preparatori, sulla falsariga del funzionamento delle commissioni del Parlamento europeo); creare un Consiglio dei ministri delle difesa permanente (allo scopo di coordinare le politiche di difesa degli Stati membri).
Circa l’odiato Fiscal Compact Patto (nato in forma intergovernativa, cioè con i leader seduti intorno a un tavolo – senza il Parlamento – e con la Germania che inevitabilmente prevale) la relazione Brok-Bresso ne chiede la collocazione “nel quadro giuridico Ue” “sulla base di una valutazione globale dell’esperienza acquisita nell’ambito della sua attuazione”. Il che significa che tutti i limiti del Fiscal Compact (emersi chiaramente con gli sforamenti del deficit di Francia, Spagna e Portogallo) dovranno essere presi in considerazione insieme alla comunicazione sulla flessibilità ottenuta dall’Italia nel 2015 e alle richieste per una golden rule sugli investimenti. Significa che dovrà essere rivisto all’interno della normale, democratica e trasparente procedura legislativa comunitaria, con tanto di discussione pubblica al Parlamento europeo. E che quella sarà l’occasione per rivederlo, e l’occasione di trasformare un Patto per l’austerità in un Patto per la crescita.
II. – La seconda Risoluzione – redatta dal belga liberaldemocratico Guy Verhofstadt (passata per 283 voti a favore, 269 contrari e 83 astensioni) – prospetta una riforma ambiziosa dei trattati. Tra l’altro, Verhofstadt (ALE) propone la creazione di un Ministro delle Finanze della zona euro, e di fornire alla Commissione europea il potere di formulare e attuare una Politica comune economica dell’UE, sostenuta da un bilancio della zona euro; che il Parlamento europeo abbia una sola sede; la riduzione sostanziale del Collegio dei Commissari UE, compresa la riduzione del numero dei vicepresidenti a due; di consentire ai cittadini europei di ogni Stato membro di votare direttamente i candidati dei partiti politici europei per il Presidente della Commissione, attraverso una lista europea.
III. – La terza Risoluzione – redatta dal popolare Reimer Boge e Pervenche Beres (Socialisti & Democratici) approvata per 304 sì, 255 no e 68 astensioni – propone una riforma e potenziamento della zona euro, e spinge per una convergenza delle economie della moneta comune da realizzare a più livelli. La Risoluzione chiede una capacità fiscale (Meccanismo europeo di stabilità) e una specifica capacità di bilancio supplementare per la zona euro (finanziato dai suoi membri, come parte del bilancio UE); un Fondo monetario europeo; un Codice di convergenza in materia di fiscalità, mercato del lavoro, investimenti, produttività e coesione sociale; e un miglioramento della governance ( un ruolo più importante per il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali, unificare le funzioni di Presidente dell’Eurogruppo e di Commissario per gli affari economici e monetari, oltre a un ministro delle Finanze e del Tesoro all’interno della Commissione europea).
Anche in vista della celebrazione del prossimo 25 marzo 2017 (60 anni dalla firma del Trattato di Roma) , il dibattito sul futuro dell’Europa è ormai avviato.