La disavventura o la figuraccia, benché soffuse di caldo abbraccio ferragostano, senza perciò ripercussioni serie, consegnano il sindaco di Viareggio alla chiacchiera da ombrellone per colpa di un paio di bermuda (indossate contro il regolamento in un locale evidentemente ligio all’etichetta blasonata).
Bisogna rispettare le regole. Ora, se Giorgio del Ghingaro, il primo cittadino viareggino, può avere un motivo di soddisfazione, questo episodio gliene consegna uno formidabile: con umiltà, accettando il richiamo del gestore del locale, egli ha dato prova infatti di interpretare una virtù rara, specie in Italia, ovvero la virtù di riconoscere i propri errori.
Forse, Camera e Senato dovrebbero rivedere i loro regolamenti. A Montecitorio si può entrare senza cravatta (addirittura), a Palazzo Madama invece si mantiene un protocollo più rigido, ma l’obbligo della cravatta non impedisce ad alcuni senatori di entrare nell’emiciclo in pantaloni rossi o scarpe stile footlocker. Che un ristorante della Versilia contempli un galateo più severo di quanto avvenga in Parlamento, anche questo è un segno dei tempi.
L’eleganza formale, e quindi lo stile che determina il rispetto e la concentrazione, laddove ovviamente ciò risulti necessario in ambienti e circostanze particolari, non è materia di esame per studenti di antichistica. Semmai è la cifra di una società, oggi come ieri, perché tutto è accettabile meno riscontrare il fatto assai curioso che l’abito scuro e la cravatta in tono, su camicia bianca, sia ormai l’abito pressoché esclusivo degli addetti alle onoranze funebri. Non si tratta di formalismi esagerati, ma di qualcosa che nella sfera civile dia l’idea di un comune sentire minimo, a partire dal modo in cui ci si presenta in pubblico.
Altrimenti, sia detto senza ingiuria o cattiveria, perché non autorizzare eletti, funzionari e cittadini ad entrare in ciabatte e bermuda nei palazzi delle istituzioni?