Benchè sia diminuita di oltre 6 miliardi di euro rispetto all’anno precedente, l’Ufficio studi della Cgia rende noto che in Italia, a seguito della non corretta dichiarazione dei redditi, sono presenti 93,2 miliardi di euro di imponibile evaso riconducibili direttamente alle imprese e alle partite Iva.
In altre parole, l’incidenza dell’evasione relativa alle aziende sul totale del valore aggiunto prodotto dall’economia non osservata (207,5 miliardi) è pari al 44,9 per cento. Un altro 37,3 per cento dell’evasione è invece riferita al lavoro irregolare (pari ad un valore aggiunto di 77,4 miliardi) ed un buon 17,8 per cento è legato alle attività illegali e ai fitti in nero (36,9 miliardi).
Nella quota strettamente in capo alle aziende, il macro settore con la maggiore propensione all’evasione è quello dei servizi professionali (attività legali e di contabilità, attività di direzione aziendale e di consulenza gestionale, studi di architettura e di ingegneria, collaudi e analisi tecniche, altre attività professionali, scientifiche e tecniche e servizi veterinari).
Guardando i dati dell’Istituto nazionale di statistica, infatti, l’incidenza della sotto-dichiarazione del reddito d’impresa sul valore aggiunto totale prodotto dal mondo delle libere professioni, è la più elevata tra tutti i macro settori presi in esame (16,2 per cento). A seguire troviamo la percentuale riferita al commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti, alloggi e ristorazione (12,8) nonchè quella delle costruzioni (12,3). Più contenuto, invece, il rischio di evasione presente nei servizi alle persone (8,8 per cento), nella produzione di beni alimentari e di consumo (7,7 per cento), nell’istruzione e nella sanità (3,9 per cento), negli altri servizi alle imprese (2,8 per cento), nella produzione di beni di investimento (2,3 per cento) e nella produzione di beni intermedi, energia e rifiuti (0,5 per cento).
Un fenomeno trasversale e tristemente cronicizzato nonostante l’azione di contrasto che il Governo ha potenziato negli ultimi anni.