E’ arrivato il verdetto della Corte di Giustizia europea sul comportamento dell’Italia in merito ai pagamenti della Pa. La sentenza non ammette dubbi: “L’Italia avrebbe dovuto assicurare il rispetto da parte delle pubbliche amministrazioni, nelle transazioni commerciali con le imprese private, di termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni”. Il procedimento è stato originato dalla Commissione di Bruxelles che aveva aperto una procedura d’infrazione contro Roma, deferendola alla Corte, appunto, che oggi “ha constatato la violazione della direttiva”, in particolare all’articolo 4, paragrafi 3 e 4.
L’Italia, per parte sua, ha sostenuto a propria difesa che la direttiva 2011/7 impone unicamente agli Stati membri di garantire termini massimi di pagamento “conformi” e di “prevedere il diritto dei creditori, in caso di mancato rispetto di tali termini, a interessi di mora e al risarcimento dei costi di recupero”. E ancora, le disposizioni della direttiva “non impongono, invece, agli Stati membri di garantire l’effettiva osservanza, in qualsiasi circostanza, dei suddetti termini da parte delle loro pubbliche amministrazioni”.
La Corte è stata inflessibile e ha respinto tale argomentazione. Inoltre, anche se la situazione dei ritardi di pagamento delle pubbliche amministrazioni “sia in via di miglioramento in questi ultimi anni”, ciò non ha impedito ai giudici di dichiarare che “la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza del diritto dell’Unione”. Perché “l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato”, cioè il secondo passo della procedura d’infrazione. Nel caso di specie si è valutata la situazione al 16 aprile 2017.