Per il rilancio dell’asse franco-tedesco – e del processo d’integrazione europea – è di certo necessario attendere l’esito delle prossime elezioni politiche tedesche ( 24 settembre 2017), ma il tema dell’immigrazione, o lo si affronta insieme, o è destinato a creare fratture (e tensioni) anche in Europa. Per fronteggiare flussi di migranti sempre più massicci servirebbe coordinamento tra una vera Politica migratoria comune, una diversa Cooperazione per lo sviluppo e una vera Politica estera dell’Ue. E servirebbe un intervento comune dell’Europa con ingenti investimenti nei Paesi di origine e di transito in Africa, per creare sviluppo e occupazione sul posto: in merito il Parlamento europeo ha chiesto di usare 6,4 miliardi di fondi Ue non spesi nel 2016. Ma – precisa bene lo stesso Presidente del Parlamento europeo, l’italiano Antonio Tajani – “l’Ue si regge su equilibri complicati di un Consiglio che decide, un Europarlamento che co-decide e una Commissione europea delegata a fare le proposte legislative. Se un organismo prevale troppo sugli altri, come sta accadendo da un po’ di anni, si rischiano effetti negativi. Faccio l’esempio dell’emergenza emigrati. Il Consiglio si spacca e non decide interventi strutturali a causa degli interessi nazionalistici dei governi, che temono di perdere le elezioni sul delicato argomento dell’immigrazione. Se invece ci fosse più equilibrio con i ruoli del Parlamento e della Commissione si potrebbe concordare una soluzione comune, che non rischierebbe di avere effetti dirompenti nella politica interna di un singolo Paese”. Così non è.. . Di conseguenza tra i 28 – alla vigilia del vertice dei ministri dell’Interno di Tallin (6-7 luglio) – il clima è teso come nelle peggiori occasioni.
Per accrescere il sostegno all’Italia e contribuire a fermare il flusso migratorio, Italia Francia e Germania hanno trovato un’intesa a metà – su cui ci siano già soffermati in questo giornale – decidendo di lavorare a una serie di misure: un codice di condotta per le ONG redatto dall’Italia; un sostegno rafforzato alla guardia costiera libica; l’aumento del sostegno fornito all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) operanti in Libia; la promozione dell’analisi di possibili opzioni concrete per rafforzare i controlli di frontiera al confine meridionale della Libia; il rafforzamento della strategia dell’UE sui rimpatri; e un’applicazione piena e un’accelerazione del sistema di ricollocazione dell’UE concordato.
Papa Francesco invita all’”accoglienza e solidarietà. La presenza di tanti fratelli e sorelle che vivono al tragedia dell’immigrazione è un’opportunità di crescita umana, di incontro e di dialogo tra le culture, in vista della promozione della pace e della fraternità tra i popoli”. Ma – a oggi – Francia e Spagna hanno ribadito la chiusura dei loro porti per accogliere almeno una parte dei migranti che premono dal Nord Africa.E l’Austria (alle prese con le minaccie della destra xenofoba, e il voto anticipato a ottobre) si prepara a “difendere il confine del Brennero” con le forze armate, e cioè mettendo in campo l’esercito per le operazioni di controllo al confine con l’Italia. Spot elettorali per un’emergenza che non c’è? Una cosa è certa, per il giovane ministro austriaco degli esteri, S.Kurz, i profughi provenienti dal sud andrebbero respinti al Brennero oppure bloccati alle frontiere esterne dell’Unione europea e portati in Centri di raccolta da allestire sulle isole del Mediterraneo come Lampedusa. E il Parlamento europeo ha palesato un plateale disinteresse per il dibattito sui migranti.
Passo avanti nella giusta direzione – il 4 luglio – la Commissione europea ha adottato un suo documento che va incontro alle sollecitazioni italiane, anche se non contiene alcun accenno alla possibilità che le navi sbarchino in altri porti europei. Ora, serve il sostegno degli altri governi. Il Vertice dei ministri dell’Interno di Tallin sarà un test decisivo.
IL VIMINALE SCRIVE A FRONTEX – L’Italia non recede rispetto all’idea che altri Paesi europei si facciano carico dei soccorsi. Giovanni Pinto, direttore del Dipartimento dell’immigrazione e della polizia di frontiera, ha scritto al direttore di Frontex per chiedergli “un incontro urgente” finalizzato a rivedere la missione Triton nel Mediterraneo (che finora prevede che i migranti soccorsi in mare vengano trasferiti soltanto verso i porti italiani) “in modo da ottenere un più ampio coinvolgimento degli stati membri nella gestione dei salvataggi dei migranti e una più sostenibile condivisione del peso”, e dunque una distribuzione effettuata sin dal momento in cui gli stranieri che effettuano le traversate nel Mediterraneo vengono “intercettati” dalle navi Ue impegnate nei pattugliamenti. In altri termini, l’Italia punta a far sì che anche gli altri Paesi europei si facciano carico dei migranti salvati – sfida difficile, visto che da alcune capitali è già arrivato un rifiuto – chiedendo (anche se non ci sono grandi aspettative) una regionalizzazione della missione Triton (guidata da Frontex). Attualmente, il 60% dei migranti salvati in mare proviene da navi delle ong, il 30% da operazioni Triton e il 10% da operazioni Sophia.
Per evitare che gli stati membri dell’Ue ci contestino la non attuazione del Piano di intervento avviato nel 2017 – per una maggiore capacità di accoglienza – l’Italia ha anche accelerato i tempi per l’apertura di nuovi hotspot (centri post sbarco per l’identificazione) e Centri per ospitare i migranti economici prima del rimpatrio (ex Cie ora Cpr). Gli hotspot vedranno un raddoppio con Palermo, Siracusa, Cagliari, Corigliano, Reggio Calabria, Crotone e Vibo Valentia. Resteranno attivi quelli di Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto.
IL PIANO DELLA COMMISSIONE EUROPEA – Per fermare la rotta balcanica dei profughi sono stati promessi 6 miliardi di euro a Endorgan. Ora, Bruxelles mette sul piatto più fondi (46 milioni per incrementare la capacità operativa delle autorità libiche, con un progetto preparato congiuntamente con l’Italia; 35 milioni per la gestione della migrazione in Italia, più quelli che andranno a incrementare il Fondo per l’Africa (ad oggi fermo a 89 milioni su un obiettivo di 2,6 milioni).
Come richiesto dall’Italia, c’è una forte attenzione sulla Libia. Tra gli obiettivi anche una più intensa cooperazione con Niger e Mali. Da Libia e Niger “si continuerà a lavorare” sui rimpatri volontari. C’è poi la strada dei reinsediamenti. Chi ha diritto all’asilo (con l’aiuto e coinvolgimento dell’Unhcr) sarà portato in Europa con corridoi umanitari da Libia Egitto Niger Etiopia e Sudan. Gli Stati Ue dovranno inoltre “contribuire al rimpatrio dei migranti irregolari dall’Italia” facendo anche leva sui visti.
In Italia, Bruxelles chiede di aumentare il periodo in cui i migranti irregolari possano essere detenuti (fino a 18 mesi). E – constatato che il piano di redistribuzione non ha funzionato non solo per colpa degli Stati che non accolgono, ma anche per procedure non funzionanti in Italia – chiede di “registrare urgentemente tutti gli eritrei presenti sul territorio, centralizzare le procedure e consentire anche ai minori non accompagnati di partecipare al piano”. Inoltre l’Ue chiede “un’intensificazione delle procedure per far tornare gli stranieri nei Paesi d’origine”, e cioè un’accelerazione delle procedure per i rimpatri. Circa la redistribuzione dei richiedenti asilo non c’è nessuna svolta: qualcosa si potrà fare, ma solo su base volontaria e con accordi bilaterali con gli Stati che intendano dare una mano all’Italia. Bruxelles pensa di coinvolgere altri attori regionali – Tunisia Algeria Egitto e la stessa Libia – nelle attività di ricerca e salvataggio.