Sui fondi di coesione per il periodo 2021-2027 la Commissione europea ha proposto un’ aumento del 6% delle risorse per l’Italia. Ci sono buone possibilità che la proposta passi già a giugno. La riforma dei fondi strutturali europei, dunque, proposta dalla Commissione Ue per il 2021-2027 porterà nelle casse dell’Italia 2,4 miliardi di euro in più rispetto al 2014-2020. L’aumento della dotazione italiana, nonostante i tagli alla politica di coesione, deriva dalla modifica dei criteri di assegnazione delle risorse. Oltre al Pil, infatti, conteranno di più fattori come la disoccupazione giovanile. La fetta italiana di Fondo Ue per lo sviluppo regionale salirebbe così da 36,2 mld (2014-2020) a 38,6 (2021-2027).
Se per il bilancio 2014-2020 la politica europea di Coesione già favoriva le riforme strutturali e le politiche economiche orientate alla concorrenza, nella proposta della Commissione per il nuovo periodo 2021-2027 “questo collegamento sarà rafforzato”. E’ quanto riferisce l’esecutivo comunitario, spiegando che le raccomandazioni per Paese saranno alla base di una “revisione di medio termine dei programmi di coesione nel 2024”. È previsto, insomma, un “tagliando” a medio termine. Ciò significa che le raccomandazioni fatte da Bruxelles a ciascun Paese saranno alla base di una «revisione di medio termine dei programmi di coesione nel 2024». Gli Stati membri, in altre parole, dovranno presentare regolarmente alla Commissione i loro progressi nell’implementazione delle raccomandazioni.
Secondo un documento interno della Commissione consultato da ANSA, che considera Fesr e Fondo di coesione in prezzi 2018, i tagli per l’Ue a 27 saranno del 9,9% (da 367 a 331 mld), quindi non del 6%, come dichiarato nelle scorse settimane dallo stesso esecutivo. Ma l’Italia, che rimane il secondo beneficiario della politica di coesione europea dopo la Polonia, non è l’unico Paese che potrebbe vedere la sua dotazione aumentata nonostante le sforbiciate. La
proposta di regolamento adottata dalla Commissione europea implica infatti uno spostamento di risorse dal Nord-Est Europa verso il Centro-Sud che tenga conto del migliorato tenore di
vita negli ex Paesi sovietici ma anche dell’impatto della crisi su molte economie del Mediterraneo, della lotta ai cambiamenti climatici e degli sforzi per integrare i migranti.
Grecia (da 17,8 a 19,2 mld), Romania (da 25,2 a 27,2 mld) e Bulgaria (da 8,3 a 8,9 mld) vedrebbero un aumento dell’8%; Finlandia (da 1,5 a 1,6 mld) e Spagna (da 32,4 a 34 mld) del 5%, mentre Cipro del 2%. Invariate le risorse per Danimarca, Svezia, Belgio, Paesi
Bassi, Austria e Lussemburgo. Mentre a subire le sforbiciate più pesanti sono Ungheria (da 23,6 a 17,9 mld), Lettonia (da 7,4 a 5,6 mld), Estonia (da 3,8 a 2,9 mld), Repubblica Ceca (da 23,5 a 17,8 mld) e Malta (da 0,8 a 0,6 mld), con un -24%. Segue il -23% della Polonia (da 83,9 a 64,4 mld), il -22% della Slovacchia (da 15,1 a 11,8 mld) e -21% della Germania (da 19,8 a 15,7 mld). La perdita di fondi per il gruppo di Visegrad nel prossimo
settennato di programmazione sarebbe quindi di 34,2 miliardi di euro. La proposta di regolamento deve ora essere negoziata con le altre istituzioni Ue prima di entrare in vigore.